La rivolta in Russia vista dalla Cina
La Cina osserva con grande attenzione e preoccupazione (soprattutto ai piani alti) quanto accade in Russia. La rivolta guidata da Evgenij Prigozhin domina i trend topic sui social media e sui vari portali. Sull'aggregatore di notizie Sina.com, 9 dei 10 contenuti più letti riguardano gli avvenimenti messi in moto dal Gruppo Wagner. Come da tradizione, i media ufficiali agiscono con iniziale cautela. Sul Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Partito comunista cinese, viene dato spazio soprattutto al discorso di Vladimir Putin e alle "operazioni antiterrorismo" messe in campo da Mosca. I vari siti mettono in risalto anche la risposta di Prigozhin, che "nega di voler incitare una ribellione armata" sottolineando che il suo obiettivo è la rimozione del ministro della Difesa Sergej Shoigu. Negli scorsi mesi, proprio Shoigu ha incontrato l'omologo cinese Li Shangfu a Mosca, durante una visita del generale cinese sanzionato dagli Stati Uniti dal 2018 per l'acquisto di componenti militari dalla Russia e promosso a ministro lo scorso marzo.
Hu Xijin, seguitissimo commentatore sui social ed ex direttore del tabloid nazionalita Global Times, evita per ora di prendere una posizione netta, mettendo tra virgolette e dunque non appropriandosi direttamente delle parole del presidente russo: "Putin ha parlato di 'tradimento' e 'ammutinamento armato'. La ribellione di Prigozhin potrebbe portare una serie di conseguenze, mettendo l'amministrazione Putin di fronte alla prova più dura da quando ha lanciato l''operazione militare speciale'".
Sui social c'è meno cautela. Diversi netizen cinesi puntano il dito contro gli Stati Uniti, i quali starebbero in qualche modo manipolando la ribellione di Prigozhin per causare un "conflitto interno" alla Russia. Si tratta di una visione piuttosto diffusa e che non sorprende, vista l'insistenza di Pechino nel denunciare le "interferenze" di Washington negli affari interni degli altri paesi. Compresa la Cina, in particolare su Taiwan. Forse non a caso, proprio sabato mattina il ministero della Difesa di Taipei ha segnalato 8 jet dell'Esercito popolare di liberazione muoversi oltre la linea mediana (il confine non ufficiale e non riconosciuto sullo Stretto, ma ampiamente rispettato fino allo scorso agosto e alla visita di Nancy Pelosi) e nei pressi delle 24 miglia nautiche che segnano l'ingresso in acque e cieli contigui. Era già accaduto durante le vaste esercitazioni di agosto 2022 e aprile scorso dopo l'incontro fra la presidente taiwanese Tsai Ing-wen e lo speaker del Congresso americano Kevin McCarthy, ma è la prima volta che al di fuori di grandi manovre che Taipei segnala ufficialmente un avvicinamento così convinto. Detto che i movimenti di jet e navi cinesi nei pressi di Taiwan sono regolari, c'è chi ritiene che la mossa possa non essere del tutto scollegata a quanto accade in Russia. Come a dire: "Se a Mosca ci sono problemi, voi non fatevi illusioni sulla nostra risolutezza a preservare sovranità e integrità territoriale".
Tornando alla percezione di quanto sta accadendo tra Rostov e Mosca, è evidente sin dall'inizio della guerra che la prima preoccupazione di Pechino sia la stabilità del sistema di potere di Putin. Non perché l'amicizia nei suoi confronti sia davvero "senza limiti", che anzi si sono a più riprese intravisti durante questi 16 mesi di guerra, ma perché la Cina ha bisogno di una Russia non travolta dall'instabilità. A differenza di quanto accade a Pechino col Partito comunista, a Mosca non c'è una forza politica in grado di garantire continuità in un passaggio di leadership. L'eventuale disgregazione del territorio russo, o la creazione al suo interno di piccoli feudi, farebbe nascere pericolosi paralleli. Quelli che la Cina ha giurato di evitare a ogni costo, osservando la dissoluzione dell'Unione Sovietica come un disastro da non ripetere mai sotto il suo cielo.
I due paesi condividono un lungo confine, dove durante la guerra fredda ci furono anche diversi scontri. Per Pechino la guerra in Ucraina è un problema. Nei rapporti con l'Europa, che chiede una maggiore chiarezza nei rapporti con Mosca che la Cina non può garantire per ragioni storiche, geografiche, politiche e retoriche. Ma anche per lo scenario dell'Asia-Pacifico, dove diversi paesi come Giappone, Corea del Sud e Filippine hanno rafforzato i rapporti con gli Stati Uniti per timore di un crescente allineamento sinorusso.
L'unico vantaggio è avere una Russia più legata a sé a livello economico, più dipendente a livello politico. Tanto da consentire importazioni di energia a prezzo scontato o ammettere la proiezione in aree strategiche come l'Asia centrale. Insomma, Putin serve. D'altronde, lo stesso Xi Jinping durante la visita a Mosca di marzo ha fatto una cosa davvero inusuale: esprimersi sulle elezioni di un altro paese, auspicando la conferma del presidente russo. Insomma, la ribellione di Prigozhin manda un segnale preoccupante alla Cina, che potrebbe rafforzare ulteriormente la pervasività del mantra della sicurezza nazionale. Uscendo dalle restrizioni contro il Covid-19 che hanno suscitato anche delle proteste e in una situazione economica non positiva come quella di qualche anno fa, Xi sta già rafforzando la presa sulla società civile. Basti limitarsi alle nuove stringenti regole di condotta nell'esercito e alla maggiore diffusione di un tempo dello studio del pensiero del leader tra funzionari e studenti.
Lo sgomento di Pechino è anche su un aspetto più ampio: il timore che testate nucleari finiscano in mano a gruppi armati e ribelli. L'imprevedibilità della situazione globale rischierebbe di aumentare ancora di più. La Cina spera che in Russia ritorni l'ordine, per poi magari insistere con ancora maggiore convinzione sulla necessità di un negoziato o una soluzione politica.
Ne ho scritto qui.
Tre conseguenze indicate da Joe Webster:
1) I servizi di sicurezza della RPC diventeranno molto più attivi in Russia.
2) la RPC affermerà sempre più la propria leadership in materia di sicurezza in Asia centrale e in altre aree del cosiddetto "Vicino Oriente" che la Russia ha dominato negli ultimi decenni
3) I megaprogetti infrastrutturali sino-russi sono meno interessanti dal punto di vista economico.
Cosa succede ad Alibaba
Continuano le sorprese in casa Alibaba. Il colosso digitale cinese, da cui è partita la campagna di rettificazione che ha caratterizzato negli ultimi anni la vita dei giganti tecnologici della Repubblica Popolare, cambia di nuovo volto. Dopo il “grande spacchettamento” in sei unità distinte degli scorsi mesi, ecco lo stravolgimento al vertice, con un rimpasto dei ruoli apicali giunto a sorpresa. La notizia principale è che il presidente e amministratore delegato Daniel Zhang lascerà il suo ruolo. Entrato in Alibaba come direttore finanziario di Taobao nel 2007, è salito alla ribalta come uno degli architetti dell'iniziativa “new retail”, che intendeva coniugare la vendita al dettaglio fisica con quella online, estendendo il dominio dell'azienda in settori che vanno dai centri commerciali ai supermercati.
È diventato direttore operativo di Alibaba nel 2013 ed è succeduto a Jonathan Lu come amministratore delegato due anni dopo. Zhang ha sostituito Jack Ma come presidente nel 2019, quando Alibaba è diventata la società di maggior valore in Cina, con una capitalizzazione di mercato di circa 900 miliardi di dollari. Poi, la caduta innescata dallo stop alla quotazione di Ant Group, il braccio fintech del colosso. Zhang lascerà l'incarico a settembre, rimanendo presidente e amministratore delegato del neonato Alibaba Cloud Intelligence Group.
Al suo posto arriveranno in due: Joseph Tsai, attuale vicepresidente esecutivo, assumerà il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione. Eddie Wu assumerà invece la carica di amministratore delegato. Si tratta di due cofondatori di Alibaba, fedelissimi della prima ora di Jack Ma, che secondo diverse fonti torna a ricoprire un ruolo. Se non ufficiale, almeno da burattinaio.
Entrambi erano con lui nell'appartamento di Hangzhou nel quale l'azienda vide la luce nel 1999. Tsai è il secondo maggiore azionista individuale dell'azienda dopo Ma. Ex allievo di Yale e benvoluto dagli investitori, secondo Bloomberg avrà probabilmente un ruolo importante nel gestire i mercati e i finanziatori più importanti di Alibaba. Ex atleta di lacrosse, nonché proprietario della squadra di Nba Brooklyn Nets. Wu ha invece ricoperto in precedenza il ruolo di chief technology officer di Alipay e Taobao ed è stato direttore generale di Alimama, la piattaforma di marketing basata sui dati di proprietà di Alibaba su Taobao e Tmall.
Continua qui.
Altri link
Il pensiero di Xi Jinping al Gaokao cinese (dal minuto 37.30)