Macron e Von der Leyen a Pechino, Tsai vede McCarthy in California
I leader europei incontrano Xi Jinping, colloquio della presidente taiwanese con lo speaker del Congresso Usa. La reazione di Pechino
Cina ed Europa restano in piedi davanti a una porta che nessuno dei due vuole chiudere. E anche se non sono d'accordo su quanto deve restare aperta, cercano in tutti i modi di intravedere segnali utili come scusa per non sbatterla. Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen sono arrivati a Pechino con uno scopo dichiarato: creare distanza tra Xi Jinping e Vladimir Putin. Trovano una Cina che vuole creare distanza tra Unione europea e Stati Uniti. Sono tutti consapevoli che le distanze resteranno, ma nessuno vuole renderle incolmabili.
Macron sostiene da tempo la necessità di rafforzare il dialogo con Pechino per impedirne il completo allineamento con Mosca. Non a caso i media di Stato cinesi lo corteggiano. Nei mesi scorsi è stato più volte definito "il vero interlocutore della Cina in Europa". Ieri, il Global Times ha definito il suo viaggio "un importante motore per il riavvio delle relazioni bilaterali". Da quando non c'è più Angela Merkel, Macron è considerato da parte cinese il leader europeo di maggiore statura internazionale. Forse l'unico in grado di favorire il raggiungimento di una "autonomia strategica" dell'Ue, che nella visione cinese significa emancipazione dagli Usa. "Tra Cina e Francia, Cina ed Europa, non c'è alcun conflitto di interessi o contraddizione fondamentale tra le due parti", sostiene il Quotidiano del Popolo. Come a dire: "Non vi conviene seguire Washington", con cui il rapporto può subire un ulteriore scossone dall'incontro in California tra la presidente taiwanese Tsai Ing-wen e lo speaker del Congresso Kevin McCarthy.
Alla vigilia del trilaterale tra i presidenti di Cina, Francia e Commissione europea sono arrivate reciproche manifestazioni di buona volontà. "Non è nell'interesse della Cina fornire armi alla Russia, né una guerra lunga", ha detto Macron appena atterrato a Pechino. "Amicizia senza limiti tra Cina e Russia? Solo una formula retorica", ha dichiarato invece al New York Times l'ambasciatore cinese presso l'Ue, Fu Cong. L'etichetta era stata apposta da Xi e Putin poco prima dell'invasione. Da allora il leader russo ha continuato a utilizzarla, quello cinese no. Negli ultimi due incontri di Samarcanda e Mosca, Xi ha parlato prima di "tandem" e poi "amicizia duratura". Stavolta la presa di distanza è più esplicita, anche se resta solo sul fronte lessicale.
Le opinioni sulla "soluzione politica" del conflitto restano infatti molto lontane: per l'Ue la pace è quella di Volodymyr Zelensky, per la Cina bisogna sì tutelare l'integrità territoriale, ma anche rispettare le "legittime preoccupazioni di sicurezza" di tutti i paesi. Traduzione: la Russia non potrà vincere ma non deve neanche perdere. Macron e Von der Leyen sperano di convincere Xi a parlare con Zelensky, mentre il leader cinese vuole che si metta fine alle sanzioni. Interessante vedere se uscirà qualcosa di più concreto rispetto al prevedibile comune rifiuto del nucleare. Di certo Xi vuole slegare i rapporti bilaterali dalla guerra. I media cinesi definiscono "irragionevole" da parte dell'Ue collegare la questione del conflitto alle relazioni bilaterali e chiedere alla Cina di "scegliere da che parte stare".
Se Von der Leyen viene individuato come il "poliziotto cattivo" che parla di geopolitica e "riduzione del rischio" (ma non decoupling) nei rapporti, Macron è il "poliziotto buono". D'altronde, dopo il trilaterale di oggi il presidente francese incontra Xi anche da solo. Così come l'Italia, la Francia cerca un maggiore accesso al mercato cinese. Insieme a Macron ci sono anche una sessantina di imprenditori, tra cui l'amministratore delegato di Airbus Guillaume Faury. Il colosso dell'aviazione sta trattando con Pechino un nuovo ordine. Insomma, si punta anche agli affari. "Le nostre relazioni non sono bianche e nere", ha detto la scorsa settimana Von der Leyen. Un passaggio del suo discorso che è piaciuto a Pechino, che nel grigio sa muoversi meglio degli altri.
Tsai-McCarthy
Nella tarda serata italiana e a notte fonda taiwanese, la presidente Tsai Ing-wen ha incontrato lo speaker Kevin McCarthy alla Reagan Library in California. Al termine di un colloquio a porte chiuse di un paio d'ore, due brevi discorsi pubblici. Il discorso di Tsai è stato in linea con quello pronunciato lo scorso agosto a Taipei quando aveva ricevuto Nancy Pelosi. Mai citata esplicitamente la Repubblica Popolare Cinese, citate però "sfide senza precedenti" per mantenere la pace. Così come con Pelosi viene auspicato un rafforzamento dei legami con gli Usa in materia di difesa e di economia. La novità, resa pressoché obbligata dal luogo del colloquio, è la citazione delle "sei rassicurazioni" di Reagan del 1982 nei confronti di Taiwan.
Le "sei rassicurazioni" non vengono riconosciute da Pechino, che le ritiene un atto unilaterale in contrasto coi tre comunicati congiunti coi quali furono avviate le relazioni bilaterali tra Usa e Repubblica Popolare nel 1979. Non a caso nel comunicato odierno di condanna dell'incontro Tsai-McCarthy rilasciato dal ministero degli Esteri si fa riferimento ai tre comunicati congiunti, "promettendo" una risposta risoluta a "tutela di sovranità e integrità territoriale". Il discorso di McCarthy è stato piuttosto breve, qui un paragone con quanto aveva detto Pelosi a Taipei. Prima del colloquio con McCarthy, Tsai ha incontrato anche un gruppo bipartisan di senatori. In quel frangente Reagan garantì a Taipei che gli Usa non avrebbero fissato una data certa per la fine della vendita di armi e di non voler esercitare pressioni sul governo taiwanese per avviare negoziati con Pechino.
La reazione di Pechino
La reazione a Tsai-McCarthy: per ora, sottolineo per ora, manovre di jet e navi sullo Stretto sono state minime. So che escono agenzie e articoli con più frequenza del solito, ma basta controllare ogni mattina i dati della Difesa di Taipei per capire che siamo nella normalità. Vengono poi riportare le parole dei vari organi statali e partitici di Pechino. Giusto, andrebbero però contestualizzate capendo che siamo sempre finora nel campo della reazione e presa di posizione obbligate. La vera novità, sottolineo di nuovo per ora, non sono tanto le manovre di jet/navi o le dichiarazioni, quanto invece il fatto che l'operazione speciale di pattugliamento lanciata ieri includa anche delle ispezioni a bordo.
Taipei ha dichiarato di non voler cooperare. Ovviamente non è escluso che nei prossimi giorni inizino nuove ampie esercitazioni militari, ma per ora la sensazione è che Xi non voglia offuscare i suoi incontri con Macron e Von der Leyen. Per di più, mosse come l'ispezione a bordo sono meno "visibili" ma più "effettive", rischiando anche di generare qualche confronto diretto. Sui media di stato cinesi, la retorica e il disappunto per l'incontro Tsai-McCarthy si concentra più sulla figura della stessa Tsai o sul Dpp. Per ora non paragonabile l'ondata ultranazionalista anti taiwanese a tutto campo presente durante il viaggio di Pelosi. Questo potrebbe aprire alla possibilità di reazioni mirate, anche a livello individuale. Per esempio con l'inserimento di Tsai nella cosiddetta "blacklist dei secessionisti". Atto simbolico che però mettere per sempre la parola fine su chance di dialogo Dpp-Pcc.
Qui tutto il contesto.
Il patron della Foxconn si candida alle presidenziali di Taiwan
C'è un uomo da cui dipendono le forniture di iPhone per Apple. E che dà lavoro a centinaia di migliaia di persone in Cina. Anche se in passato ha paragonato i suoi dipendenti ad "animali" e i diritti all'interno delle sue mega fabbriche sono spesso un miraggio. Ricevuto da Donald Trump alla Casa Bianca nel 2019, corteggiato da Pechino per non spostare la sua produzione. A gennaio 2024 potrebbe diventare presidente di Taiwan, o almeno questo è il suo obiettivo. Se riuscisse a realizzarlo, potrebbe ricoprire un ruolo decisivo nei rapporti tra Stati uniti e Repubblica popolare. L'uomo in questione è Terry Gou, patron della Foxconn, colosso dell'elettronica e primo fornitore di smartphone per Cupertino.
Ieri, mentre tutti aspettavano l'incontro tra la presidente taiwanese Tsai Ing-wen e lo speaker del Congresso Kevin McCarthy in California, Gou è tornato a Taipei dopo un viaggio d'affari di una decina di giorni proprio negli Usa. Alla vigilia, il sospetto era che la visita fosse una scusa per presentare le sue "credenziali" in vista di una candidatura. Sospetto confermato dalla sua conferenza stampa in un hotel nei pressi dell'aeroporto. "Dichiaro ufficialmente la mia intenzione di provare a ottenere la candidatura col Guomindang", ha detto, chiarendo subito la sua linea: "La pace non è scontata e le persone devono fare la scelta giusta". Per Gou votare il Partito progressista democratico (Dpp) di Tsai significherebbe guerra: "Dobbiamo dire onestamente ai giovani che è pericoloso votare per il Dpp".
Gou sostiene di essere l'uomo giusto per "risolvere la crisi" sullo Stretto, qualcosa che "i politici tradizionali non sono stati in grado di fare". Avendo rapporti sia con Pechino sia con Washington, si propone come "grande stabilizzatore". Un colosso statunitense come Apple dipende dalle sue forniture. Basti pensare alle ripercussioni delle proteste nel mega stabilimento di Zhengzhou, soprannominato iPhone City, sulle spedizioni in vista dello scorso Natale. Ma anche i funzionari del Partito comunista mantengono con lui un rapporto stretto, nella speranza di evitare una migrazione di Foxconn. Gou ha recentemente palesato la necessità di diversificare la produzione e ha predisposto grandi progetti di investimento in India. Ma allo stesso tempo ha affittato un nuovo terreno di 293 acri nello Henan.
Non è la prima volta che Gou tenta la scalata politica. Nel 2019, dopo aver ricevuto il placet di Trump in vista del voto del gennaio 2020, è stato sconfitto alle primarie del Gmd dal populista Han Kuo-yu. Un errore che il partito non si è mai perdonato. Dopo aver chiesto "agli dei" un segnale dai templi di Banqiao (Nuova Taipei), Gou ha deciso di riprovarci. L'annuncio arriva in un momento cruciale per il principale partito d'opposizione. Domani rientra da Shanghai l'ex presidente Ma Ying-jeou, che spinge per la nomina dell'ex poliziotto Hou Yu-ih. Il presidente del partito, Eric Chu, coltiva ancora la speranza di provarci lui. Dalla spaccatura potrebbe emergere una figura di compromesso, anche perché stavolta non ci saranno le primarie e il nome sarà individuato da un comitato interno. Tutto da verificare il gradimento dell'opinione pubblica taiwanese, che sembra invece preferire Hou.
Gou ha garantito che anche qualora non fosse scelto, sosterrebbe il candidato del Gmd. Un sospiro di sollievo per il partito, visto che sta emergendo un terzo contendente potenzialmente più serio di quelli del passato, l'ex sindaco di Taipei Ko Wen-je. "Il Dpp vuole la guerra, il Gmd è troppo deferente a Pechino", ha dichiarato Ko. Sabato, manco a dirlo, partirà pure lui per gli Usa.