Meloni-Biden, Italia-Cina, la rimozione di Qin Gang, Kim e l'armistizio, elezioni in Cambogia
Racconti dalla settimana asiatica
Due settimane fa scrivevo qui dell'esistenza del progetto di una nuova IPO di Ant Group, prima a Hong Kong con obiettivo finale (il cui raggiungimento è tutt'altro che scontato) degli Usa. E col coinvolgimento diretto di Jack Ma. Ci sono segnali che vanno in questa direzione. Bloomberg parla dei preparativi in corso per la quotazione di Ant (braccio fintech di Alibaba, la cui IPO stoppata nel 2020 diede il via alla campagna di rettificazione delle Big Tech cinesi) a Hong Kong. E poi, su Caixin: la prima IPO di una società cinese negli Stati Uniti da quando, a marzo, sono state introdotte le nuove norme per la vendita di azioni all'estero, ha fatto un passo avanti dopo che l'autorità cinese di regolamentazione dei titoli ha dichiarato che Majestic Ideal Holdings ha completato i processi di registrazione necessari.
Meloni-Biden visto dalla Cina e le visite italiane in Cina
Alla Cina non piacerà l'internazionalizzazione della questione Taiwan, ma Meloni è riuscita a stare in equilibrio: citate sia "sfide" che "opportunità" poste da Pechino. Niente parole definitive sulla Via della Seta e anzi annuncia che andrà anche da Xi Jinping. Questo non significa che l'Italia resterà nella Belt and Road. Anzi, anche a Pechino sanno è ormai certa l'uscita. Ma il mancato annuncio da Washington e anzi la conferma della prossima visita in Cina rappresentano una garanzia che il governo vuole preservare il rapporto.
Ne scrivevo nei giorni prima, per esempio qui. "Ci auguriamo che Giorgia Meloni abbia un atteggiamento sobrio e non si lasci trasportare dalla geopolitica". L'auspicio è stato espresso dal Global Times, il tabloid nazionalista cinese, alla vigilia della visita della premier italiana negli Stati uniti. Nel mirino della Cina ci sono eventuali annunci sulla Belt and Road Initiative, la cosiddetta Via della Seta da cui più volte la leader di Fratelli d'Italia ha detto di voler uscire. Una certezza granitica in campagna elettorale diventata in realtà più soffusa una volta entrata a Palazzo Chigi, soprattutto in seguito al positivo incontro con Xi Jinping a margine del G20 di Bali. Ma il dado è tratto, la seta sembra destinata a sgualcirsi. Nonostante gli avvertimenti cinesi.
Volenti o nolenti, l'ormai scontata uscita dall'accordo sarà letta da Pechino come una scelta politica. Così come era accaduto al momento della firma. E per questo l'Italia si espone a possibili ripercussioni e ritorsioni. Diventa allora decisivo il momento in cui questa scelta verrà comunicata. Se ciò avvenisse alla Casa bianca, la Cina lo vivrebbe come un affronto personale. Se invece si attendesse un confronto diretto le turbolenze potrebbero essere contenute.
È forse proprio con l'intenzione di seguire un galateo in grado di non far saltare il tavolo cinese che, secondo quanto mi riportano diverse fonti, è in programma per settembre un viaggio a Pechino del ministro degli Esteri Antonio Tajani. Nei prossimi giorni sarà già nella capitale cinese una delegazione di alto livello della Farnesina. Successivamente ci si aspetta anche la visita di Sergio Mattarella, in occasione dei 700 anni dalla morte di Marco Polo.
A indispettire Pechino, c'è però la sensazione di un'Italia sempre più disposta a seguire le indicazioni americane anche sul fronte strategico. Così vengono lette le prime storiche esercitazioni aeree congiunte col Giappone, in programma dal 2 al 10 agosto intorno alla base di Komatsu. Con Tokyo, principale alleato asiatico di Washington, è stato di recente firmato un accordo per la costruzione di caccia Tempest di nuova generazione. E nel 2024 è in programma la prima navigazione della portaerei Cavour nell'Indo-Pacifico. A Meloni servirà molta diplomazia per mantenere in equilibrio i rapporti con la seconda economia del mondo.
La rimozione del ministro degli Esteri Qin Gang
"Il giorno dopo, Xi Jinping doveva visitare il museo della grande guerra patriottica a Minsk. Alle due di notte, ci chiese di ispezionare di nuovo l'edificio per verificare tutti i dettagli del protocollo. Mi colpì come i suoi funzionari fossero spaventati di lui". A parlare è Pavel Slunkin, che su Twitter ha raccontato un inedito e rivelatore dettaglio di una visita del 2015 in Bielorussia del presidente cinese. Il soggetto al centro di quel racconto è Qin Gang. All'epoca coordinava i viaggi internazionali di Xi. Da ieri, invece, è il primo ministro degli Esteri cinese rimosso dal suo incarico dopo decenni. Una decisione comunicata al termine di una riunione d'emergenza del Comitato permanente dell'Assemblea nazionale del popolo. Al suo posto ritorna Wang Yi, attuale capo della diplomazia del Partito comunista e predecessore di Qin. Sarà chiamato a dirigere i tentativi di dialogo con gli Stati uniti, compreso il probabile viaggio di Xi a San Francisco per il summit Apec di novembre. Di 13 anni più anziano rispetto all'erede, Wang aveva di fatto già preso il controllo delle operazioni da qualche settimana, sostituendo Qin sia a Giacarta alla ministeriale Asean, sia nei vari incontri con Janet Yellen, John Kerry ed Henry Kissinger. Già, perché Qin non si vede dal 25 giugno. Ultime apparizioni in pubblico: gli incontri con diplomatici di Sri Lanka, Vietnam e Russia. Poi più nulla. Dopo aver chiesto il rinvio della visita di Josep Borrell a Pechino, il governo cinese ha scelto di motivare la prolungata assenza con ragioni non meglio specificate di salute lo scorso 11 luglio.
Non è bastato a spegnere i dubbi, che anzi da allora si sono moltiplicati. Stavolta non solo su testate e account legati all'India o ai Falun Gong, spesso origine di disinformazione come nell'assurda fake del golpe dello scorso autunno. No, le ipotesi su Qin sono circolate in grande quantità anche sui social cinesi. La teoria più quotata è quella della relazione extraconiugale con una giornalista cinese di Phoenix Tv, Fu Xiaotian. Non parrebbe abbastanza per giustificare un provvedimento disciplinare grave come la rimozione. Qin non sarebbe certo il primo alto funzionario cinese ad avere un'amante. C'è un però: la relazione sarebbe nata e cresciuta negli Stati uniti, mentre Qin era ambasciatore a Washington. Un ruolo, come evidente, ben più delicato di altri. Non solo. Alcuni post della stessa giornalista su Weibo sembrano rafforzare la convinzione di chi sostiene che i due abbiano avuto anche un figlio. A supporto della tesi ci sarebbe la foto di un neonato pubblicata al fianco della parola "vittoria" proprio nel giorno in cui Qin è stato nominato consigliere di Stato, suggellando una inusualmente rapida ascesa alla diplomazia cinese. Una scalata che sarebbe stata favorita dalla fiducia riposta in lui proprio da Xi, tanto da farlo passare senza fermate intermedie dall'ambasciata negli Usa al ministero degli esteri.
Addirittura c'è chi immagina un legame della reporter coi servizi segreti britannici. Nulla di dimostrato. Resta del tutto possibile che il problema sia davvero di salute. A rafforzare l'ipotesi ci sarebbe la mancata rimozione dal ruolo di consigliere di Stato, il che farebbe pensare a una sostituzione ad interim e allontanerebbe gli scenari politici più estremi. Anche se c'è chi non esclude possa anche essere un tentativo di guadagnare tempo continuando a sostenere la versione medica mentre si porta avanti un'eventuale indagine disciplinare.
Di certo la scarsa trasparenza sulle condizioni di Qin ha alimentato i sospetti. Un problema segnalato qualche giorno fa da Hu Xijin, super influencer ed ex direttore del nazionalista Global Times. "Alcune questioni sono sensibili o riservate ed entro un certo periodo di tempo è comprensibile che non possano essere discusse, ma questo periodo dovrebbe essere breve", ha scritto Hu su Weibo. "È necessario trovare un equilibrio tra la necessità di tenere le cose sotto controllo e il diritto del pubblico di sapere".
Maggiori dettagli qui, qui, qui e ne ho parlato qui (si ascolta dal minuto 8.30 circa).
Russia e Cina da Kim per il 70° esimo anniversario dell’armistizio della guerra di Corea
ll 27 luglio è il giorno dell'armistizio. O meglio è il giorno della vittoria, come lo chiamano a Pyongyang in riferimento alla fine della guerra di Corea. Tale fu per il regime di Kim Jong-un la capacità di restare in vita di fronte a quella che viene definita «aggressione» da parte di Stati Uniti e Corea del Sud. In occasione del 70esimo anniversario di quell'evento, a nord del 38esimo parallelo che divide ancora oggi le due Coree si festeggia. E lo si fa mettendo in mostra l'arsenale. Come da tradizione, Pyongyang non ha preannunciato una parata militare, ma diversi segnali fanno ritenere che in queste ore se ne svolga una di grandi dimensioni (effettivamente se n’è svolta una, update del 28/7). Lo sostengono governo e intelligence della Corea del Sud, lo dimostrano foto satellitari diffuse da diversi media internazionali, nei quali si possono osservare già da alcuni giorni diversi mezzi militari concentrati nella capitale nordcoreana. Dovrebbero sfilare tutte le ultime armi messe a punto dall'esercito, comprese quelle sviluppate per colpire non solo i vicini Corea del Sud e Giappone, ma anche gli Stati Uniti, di fronte al rafforzamento della cooperazione trilaterale che Kim ha più volte definito una «minaccia esistenziale» per Pyongyang. Tanto da sostenere che la «guerra nucleare» non è più un'ipotesi remota.
In ogni caso, il leader supremo non festeggia da solo come ha dovuto fare negli ultimi tre anni e mezzo. Per la prima volta dall'inizio della pandemia di Covid-19, infatti, Pyongyang ha steso il tappeto per due delegazioni in arrivo dall'estero. Si tratta di due delegazioni di alto livello in arrivo da Russia e Cina.
Già ieri, Kim ha ricevuto il ministro della Difesa di Mosca, Sergei Shoigu. L'agenzia di stampa ufficiale del Nord, la Korean Central News Agency, ha dichiarato che Kim e Shoigu hanno raggiunto un accordo su non meglio precisate «questioni di reciproca preoccupazione nel campo della difesa e della sicurezza nazionale e sul contesto di sicurezza regionale e internazionale». Lo stesso Shoigu ha chiarito che la sua visita è volta anche a «rafforzare la cooperazione militare». Da quando la Russia ha invaso l'Ucraina, è emersa più volte la possibilità che la Corea del Nord fornisca aiuto militare all'esercito di Mosca. Pare indirettamente confermarlo la stessa agenzia nordcoreana, quando senza riferimenti espliciti al conflitto in corsa riporta le parole del ministro della Giustizia Kang Sun Nam, che ha detto di sostenere pienamente la «battaglia per la giustizia» della Russia e la protezione della sua sovranità. Kim ha anche portato Shoigu a un'esposizione delle più recenti armi della Corea del Nord. Nelle immagini diffuse dai media nordcoreani, sembrano apparire i missili balistici intercontinentali testati in volo negli ultimi mesi, ma anche quelli che potrebbero essere i nuovi droni di sorveglianza e d'attacco non ancora svelati pubblicamente.
Presente anche Li Hongzhong, membro del Politburo del Partito comunista cinese e vicepresidente del Comitato permanente dell'Assemblea Nazionale del Popolo, l'organo che solo due giorni fa ha rimosso dal suo ruolo il ministro degli Esteri Qin Gang.
Oggi su Xinhua è stato menzionato un discorso di Xi Jinping che esalta la «resistenza cinese e nordcoreana contro l'aggressione americana». Il riferimento è alla guerra di Corea, ma in un momento come questo sembra mostrare l'indisponibilità di Pechino a mediare per ridurre le tensioni con Pyongyang. In diversi articoli apparsi sui media cinesi degli ultimi giorni si usano anche le stesse parole – «legittime preoccupazioni di sicurezza» - utilizzate in riferimento alla Russia sulla guerra in Ucraina. A Pechino, d'altronde, dà molto fastidio la crescente collaborazione di Seul con Washington. Nel giro di pochi giorni, sono arrivati in porti sudcoreani due sottomarini americani a capacità nucleare.
Ne ho scritto qui e parlato qui (dal minuto 10.20 circa)
Elezioni in Cambogia e il passaggio da Hun Sen al figlio
Domenica 23 luglio si sono svolte le elezioni in Cambogia. Ha vinto il Partito popolare di Hun Sen. Non che questo fosse in dubbio, visto che negli ultimi dieci anni il premier ha di fatto cancellato l'opposizione politica dal Paese del Sud-Est asiatico, riducendo anche lo spazio di libertà di dissenso civile. Al potere dal 1985, il "leader eterno" ha operato una stretta a partire dal grande spavento del 2013, quando alle elezioni fu quasi sconfitto dal Candlelight Party di Sam Rainsy. Da allora decise che non poteva più mettere a rischio la sua posizione, soprattutto mentre iniziava a programmare la successione col figlio Hun Manet. Una successione che potrebbe avvenire, stando alle parole rilasciate dallo stesso Hun Sen a Phoenix Tv poco prima del voto, "nel giro di tre o quattro settimane". Possibile che il passaggio di consegne avvenga a cavallo del 29 agosto, il giorno in cui si riunirà per la prima volta il nuovo parlamento, frutto del risultato emerso dalle urne.
Il Partito popolare ha totalizzato oltre l'82% dei voti, conquistando così il 96% dei seggi presso l'Assemblea nazionale. Ciò significa 120 seggi su 125. I restanti cinque seggi sono finiti al Funcincep, uno degli altri 17 partiti apparsi sulle schede elettorali. Tutte organizzazioni che non hanno mai messo in discussione la leadership del partito di Hun Sen. Il Funcincep è un partito monarchico, in un Paese in cui la famiglia reale continua a rappresentare l'unità nazionale ma non ha ruoli nel potere esecutivo. Nel 1993 aveva vinto le elezioni, con Norodom Ranariddh che diventò premier spezzando il potere unipolare di Hun Sen. Ma l'ex guerrigliere degli Khmer rossi minacciò la secessione di sette province con il supporto dell'esercito e dell'apparato statale. Ranariddh fu costretto a condividere il potere con lui conferendogli il ruolo di secondo premier. E nel 1997 Hun Sen lanciò un colpo di stato rimpiazzando Ranarridh col fidato Ung Huot. Nonostante questi tumultuosi eventi, negli scorsi anni il Funcincep ha sempre sostenuto il governo del Partito popolare, che anche per i prossimi cinque anni sarà dunque senza opposizione all'interno del parlamento.
Il vero rivale di Hun Sen, il Candlelight Party, non ha d'altronde potuto partecipare al voto. Nato sulle ceneri del Partito di Salvezza Nazionale che nel 2013 aveva sfiorato un clamoroso successo prima di essere poi sciolto, il Candlelight Party è stato estromesso dal voto con la scusa di problemi burocratici. Quattro dei suoi dirigenti sono stati arrestati durante la campagna elettorale. Le due grandi figure dell'opposizione erano già state messe fuori gioco in precedenza. Kem Sokha è stato condannato lo scorso marzo a 27 anni di carcere con l'accusa di tradimento: l'accusa è quella di aver organizzato un presunto complotto per rovesciare il governo. Sam Rainsy, leader del Partito di salvezza nazionale nel 2013, si trova invece in autoesilio all'estero e non potrà candidarsi per altri due decenni. Nel 2022 è stato condannato a 10 anni di carcere insieme ad altre sette leader dell'opposizione. Le accuse sono legate al tentato ritorno di Rainsy in Cambogia, previsto per il 2019 e bloccato dal governo. Hun Sen aveva esplicitamente chiesto all'esercito di attaccare lui e Mu Sochua in caso fossero atterrati a Phnom Penh. Proprio durante il voto, peraltro, le autorità hanno diffuso le foto e gli account social di 34 sostenitori di Rainsy, accusati di far parte di un gruppo Telegram in cui si discuteva di piani per viziare o distruggere le schede elettorali. Tra questi è stato arrestato l'attivista Chao Vesna. Hun Sen ha pubblicato una clip sul suo account Telegram chiedendo a quello che ha definito "gruppo di opposizione estremista" di consegnarsi alle autorità.
La questione delle schede è importante, anche perché in assenza di una vera competizione elettorale per il Partito popolare diventa importante il dato sull'affluenza e quello sulle schede valide per dimostrare la perpetuazione della propria legittimità. In tal senso, va registrato che ha votato circa l'84% dei 9,7 milioni di elettori registrati, in crescita rispetto all'83% del 2018 e all'80% del 2013. Un passo avanti dunque, anche se c'è stata pressione da parte di istituzioni e capi villaggio per recarsi al seggio.
Pur se scontato, il voto rappresenta comunque un passaggio storico visto che Hun Manet ha conquistato per la prima volta un seggio all'assemblea nazionale. Hun Sen ha dichiarato più volte in passato che avrebbe prima o poi lasciato il potere al figlio, ma gli analisti si aspettavano una fase di transizione più lunga per far guadagnare a Hun Manet maggiore legittimità presso i cittadini e l'élite del partito prima di assumere la carica. Se invece sarà confermata la nomina a premier nelle prossime settimane, potrebbe significare che Hun Sen ha deciso di accelerare per poter controllare l'ascesa al potere del figlio mentre lui è ancora in forze e mentre la sua presa sul partito è ancora inscalfibile. Il 71enne resterà infatti presidente del Partito popolare, ruolo da cui riuscirà ancora a incidere. Di recente, ha piazzato due fedelissimi come vicepresidenti, altra mossa per evitare l'emergere di potenziali dissapori dei decenni del partito (tra tutti quelli del ministro dell'Interno Sar Kheng) che si vedono sorpassare dal figlio del grande leader in un passaggio di potere quasi dinastico. Proprio su questo punto, i media cambogiani giustificano l'eredità familiare, sottolineando che anche in altri grandi paesi è successo che padri e figli fossero leader. Citati gli esempi di George H.W. Bush e George W. Bush negli Stati Uniti, la famiglia Lee a Singapore e la famiglia Abe in Giappone. Certo, la storia di Hun Sen e Hun Manet è molto diversa, ma poco importa: dinastia politica con caratteristiche cambogiane.
Ne ho scritto qui.