Chip, Tsai/Ma, Cina/Ue, Giappone, Dalai Lama e Pacifico
Parziale racconto degli ultimi 7 giorni tra microchip, doppia visita taiwanese, Jack Ma, Giappone, Europa/Cina e successione del Dalai Lama
"Sappiamo dall'inizio che le manovre degli Stati Uniti sui semiconduttori non sono giuste o buone per noi. Ma è difficile riuscire a dirlo esplicitamente". Eppure Frank Huang lo dice, in un'intervista a La Stampa. È una delle figure iconiche del dominio taiwanese nel comparto di fabbricazione e assemblaggio dei semiconduttori. La sua creatura, la Powerchip, è una delle principali dopo il gigante TSMC. "Sì, ma il mio amico Morris Chang mica può fare tutto", dice Huang. "Noi, per esempio, siamo specializzati sui chip per auto".
Inizia così l’intervista che ho realizzato a Taipei a Frank Huang. Qui di seguito qualche altra brevissima pillola, il resto è su La Stampa di sabato 1° aprile.
"Gli Usa vogliono disperatamente controllare l'industria e la nostra tecnologia. Ma Taiwan è Taiwan, non fa parte degli Stati Uniti. Vogliamo mantenere la nostra democrazia, ma non siamo nemici della Cina e vogliamo continuare a farci affari".
"Se si blocca Taiwan si blocca tutto: iPhone, computer, auto, aerei... tutto. Pensi a che cos'è successo nel 2021 con la carenza di chip dovuta alla siccità. E poi s'immagini una guerra. Nessuno può permettere che questo avvenga, sarebbe un disastro per tutti".
Nell'intervista, Huang dice diverse altre cose tra: Tsmc "costretta" in Arizona, l'autosufficienza tech "impossibile", le ingerenze di Usa e Pechino sulle elezioni taiwanesi, i possibili investimenti all'estero e l'interesse per l'Italia.
Tsai negli Usa, Ma in Cina, jet sullo Stretto
Tsai Ing-wen a New York, Ma Ying-jeou in Cina, jet in modalità da combattimento sullo Stretto. Taiwan torna in cima all’agenda tra potenze tra visite incrociate e manovre militari mentre Xi Jinping riceve Sanchez a Pechino e si appresta a ricevere Von der Leyen e Macron. Ieri pomeriggio, in modo inusuale, il ministero della Difesa di Taipei ha diffuso un secondo comunicato sulle attività dell’Esercito di Pechino. Significa che è stato presumibilmente osservato un cambio qualitativo (non quantitativo) delle manovre. O forse della loro prossimità alle cruciali 12 miglia nautiche dalle coste dell'isola principale.
In ogni caso, si tratta di una manovra che esprime coi fatti il disappunto già manifestato a parole per il doppio scalo di Tsai negli Usa. Ieri si è conclusa la tappa a New York, dopo che la presidente taiwanese ha ricevuto un'onorificenza dallo Hudson Institute, think tank di cui fa parte l'ex segretario di Stato Mike Pompeo. Ancora più delicato il passaggio di mercoledì prossimo in California, quando Tsai dovrebbe incontrare lo speaker Kevin McCarthy e un gruppo di deputati di entrambi i partiti. A Pechino sembra non bastare il mancato appuntamento con membri dell'amministrazione Biden. Né il contestuale viaggio in Cina continentale dell'ex presidente taiwanese Ma (di cui ho parlato qui), che ha incontrato Song Tao, neo direttore dell'Ufficio per gli affari di Taiwan del Consiglio di stato. La visita privata ha acquisito, come anticipato, una valenza politica. "
Ne ho scritto qui.
Sanchez in Cina, in attesa di Von der Leyen e Macron
Intanto Xi ha ribadito a Sanchez il sostegno a colloqui di pace sull'Ucraina e ha chiesto di «sbarazzarsi della mentalità da guerra fredda» e delle «sanzioni e pressioni estreme». Nessuna risposta nemmeno al deciso discorso di Ursula von der Leyen, ma Xi ha sottolineato con toni altrettanto espliciti che la Cina desidera rapportarsi con un’Unione europea dotata di «autonomia strategica», ergo emancipata dagli Usa. Giovedì il faccia a faccia a Pechino tra Xi, la presidente della Commissione europea ed Emmanuel Macron. A poche ore dal più che probabile incontro tra Tsai e McCarthy.
La realtà, come detto dalla presidente della Commissione Ue, è che l'Europa non può fare a meno della Cina. Ma è anche vero il contrario, come dimostrano gli sforzi diplomatici (veri o apparenti) messi in campo da Xi proprio per mantenere aperto il canale di dialogo con l’Ue. Ne ho scritto qui.
Verso le elezioni 2024 a Taiwan
Il 2024 è l’anno delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti, ma è anche l’anno delle elezioni presidenziali di Taiwan. E l’importanza delle seconde, anche a livello internazionale, non è minore rispetto alle prime. A seconda del vincitore, le dinamiche della relazione che caratterizza il triangolo scomposto che unisce Taipei, Pechino e Washington. Gli aventi diritto di voto tra i circa 24 milioni di abitanti si recherà alle urne sabato 13 gennaio 2024, ma la lunga rincorsa è già cominciata, così come le rispettive manovre dei tre attori di una vicenda che può decidere molto dei futuri equilibri globali: a livello geopolitico ma anche a livello commerciale e tecnologico.
Ampia panoramica sulla lunga marcia di avvicinamento alle cruciali elezioni del gennaio 2024, già sullo sfondo delle visite di Tsai e Ma. Qui.
La successione del Dalai Lama
Ha 8 anni, è nato negli Stati Uniti da genitori di origine mongole. Note particolari: è stato scelto dal Dalai Lama come reincarnazione di una divinità buddhista. E potrebbe un giorno diventare il suo successore. Nota "a margine": la sua scelta, così come quella del prossimo leader spirituale, scatenerà e anzi sta già scatenando uno scontro fra Cina e governo tibetano in esilio. Con India e Usa sullo sfondo.
Uno sfondo dal quale però sono in parte usciti sia Nuova Delhi sia Washington, visto che il bambino scelto come attuale terza carica più importante del buddhismo tibetano è appunto nato negli Usa ed è stato fotografato in compagnia del Dalai Lama a Dharamshala, nello Stato indiano dell'Himachal Pradesh. Qui, a poca distanza dal confine conteso tra India e Cina, il Dalai Lama vive da decenni in esilio.
La tensione sulla successione del Dalai Lama è destinata d'altronde ad aumentare. La Mongolia, paese chiave visto che attraverso il suo territorio passerà il nuovo gasdotto Power of Siberia 2 unendo Cina e Russia, spera di non finirci coinvolta. Ma la questione può avere un impatto soprattutto sui rapporti tra Cina e India, che ospita Dalai Lama e governo tibetano in esilio. Ulteriore motivo di dissidio tra i due giganti asiatici, che negli scorsi mesi sono tornati a sfidarsi al confine conteso. Prevedibile che il dossier tornerà a scuotere le relazioni tra Cina e Usa, che tra l'altro hanno messo per la prima volta a disposizione dell'esercito indiano informazioni satellitari per avvantaggiarsi nel confronto di dicembre con le forze armate cinesi al confine.
Ne ho scritto su La Stampa del 28 marzo, versione più breve sul web qui.
Il pressing russo sul Giappone
Il ministero della Difesa di Mosca ha comunicato che è stato effettuato un test di missili antinave nel Mar del Giappone, con due imbarcazioni che hanno lanciato un attacco missilistico simulato su una finta nave da guerra nemica a circa 100 chilometri di distanza. Il ministero ha dichiarato che l'obiettivo è stato colpito con successo da due missili da crociera Moskit. Si tratta di un tipo di missile antinave supersonico con capacità di testata convenzionale e nucleare, in grado di volare a una velocità tre volte superiore a quella del suono.
Ulteriore prova che Tokyo, sin da subito è stato il paese asiatico più convinto nel condannare l'invasione dell'Ucraina, è nel mirino di Mosca. Ancora di più dopo che la scorsa settimana il premier Fumio Kishida è stato per la prima volta a Kiev e poi a Bucha insieme a Volodymyr Zelensky, proprio mentre Vladimir Putin stava ricevendo il presidente cinese Xi Jinping al Cremlino.
La prima risposta della visita a sorpresa di Kishida in Ucraina è stata il sorvolo di due aerei bombardieri strategici russi nel Mar del Giappone per più di sette ore. Gli aerei Tupolev Tu-95MS sono in grado di trasportare armi nucleari e Mosca li fa volare regolarmente sulle acque internazionali dell'Artico, dell'Atlantico settentrionale e del Pacifico come dimostrazione di forza. Subito dopo, Mosca ha dichiarato che una divisione dei suoi sistemi missilistici di difesa costiera Bastion è stata dispiegata a Paramushir, una delle isole Curili nel Pacifico settentrionale, alcune delle quali sono rivendicate dal Giappone come proprio territorio. La mossa fa parte di un più ampio rafforzamento delle difese della Russia nelle sue vaste regioni dell'estremo oriente, ha spiegato il ministro della Difesa Sergei Shoigu.
La sensazione è anche che Mosca possa alzare la pressione sul Giappone con un obiettivo più sottile: collegare il fronte ucraino a quello orientale e "stimolare" così un maggiore coinvolgimento e allineamento della Cina.
Ne ho scritto qui.
Nel frattempo, Giappone e Stati Uniti hanno raggiunto un accordo sulle risorse minerarie, per non imporre dazi all'esportazione sui minerali critici nell'ambito del commercio bilaterale.
Il Giappone ha anche annunciato che limiterà l'esportazione di apparecchiature per la produzione di semiconduttori, dopo un annuncio simile fatto dai Paesi Bassi all'inizio del mese e fortemente criticato dalla Cina. La misura è volta a prevenire la deviazione della tecnologia per scopi militari. Previste tensioni con Pechino, anche se domenica 2 aprile per la prima volta in 3 anni il ministro degli esteri giapponese, Yoshimasa Hayashi, andrà in visita in Cina.
Jack Ma torna in Cina e cambia Alibaba
Jack Ma torna in Cina e Alibaba avvia una ristrutturazione senza precedenti, che lascia intravedere come potrebbe essere il futuro dei colossi tecnologici privati nella "nuova era" di Xi Jinping. Il campione del digitale fondato ad Hangzhou, un impero da 257 miliardi di dollari, ha annunciato una riorganizzazione in sei unità aziendali autonome. Una mossa che di fatto trasformerà Alibaba in una holding.
Ognuna delle sei entità avrà un proprio amministratore delegato e un proprio consiglio di amministrazione, tutti autorizzati ad apportare capitali esterni o a quotarsi in borsa attraverso offerte pubbliche iniziali separate. L'amministratore delegato Daniel Zhang ha spiegato in una lettera inviata ai dipendenti che l'operazione è tesa a razionalizzare e snellire i processi decisionali. Ne ho scritto qui.
La contesa sulle isole del Pacifico
Cannoni giapponesi e carri armati statunitensi, mezzi sepolti dalla sabbia e dall'acqua cristallina del Pacifico. Le coste del piccolo arcipelago di Kiribati portano ancora i segni delle battaglie della seconda guerra mondiale. Siamo all'estremità orientale della Micronesia, una delle tre aree insieme a Melanesia e Polinesia in cui sono raggruppati i paesi dell'Oceania.
Luoghi spesso dimenticati e di cui si parla solo per le spiagge da sogno o per gli effetti nefasti del cambiamento climatico, qui più evidenti che altrove. Lontani dalle luci della ribalta, eppure sempre più nel cuore delle strategie delle grandi potenze.
Uscito il nuovo numero della rivista di Missioni Consolata. All’interno anche un mio ampio contributo sulla contesa sulle isole del Pacifico, che non vogliono rischiare di essere coinvolte in una nuova guerra fredda.