L'uomo che ha imposto la tredicesima legge marziale della storia della Corea del Sud, la prima dal sanguinoso golpe militare del 1980, resta al suo posto. Almeno per ora. In un sabato gelido, la politica tradisce le aspettative di almeno 200 mila persone che hanno sfidato il freddo, restando per ore a protestare contro il presidente Yoon Suk-yeol. O meglio, a manifestare a favore della democrazia. Proviamo a raccontare un po’ che cosa è successo nei giorni scorsi in Corea del Sud, dopo la folle notte della legge marziale (già raccontata qui), cercando anche di dare uno sguardo agli scenari immediati del caos politico in cui è entrato il Paese.
Impeachment senza quorum
"Non è finita qui, oggi è stato solo l'inizio". Quando è ormai notte e la temperatura è abbondantemente sotto lo zero, è questa la frase gettonata per le strade ancora affollate di Seul. Poche ore prima, il Partito del potere popolare ha deciso che la volontà del popolo non conta, salvando Yoon Suk-yeol dall'impeachment. Sì, il presidente che per primo ha imposto una legge marziale nella Corea del sud democratica, riaprendo le devastanti ferite di un tragico e sanguinoso passato, resta al suo posto. Almeno per ora. Già, perché nonostante i "rischi" di "nuove misure estreme" paventati dal suo stesso leader Han Dong-hoon, il partito di governo ha deciso di boicottare il voto che avrebbe immediatamente sospeso Yoon. Tutti e 108 i suoi deputati, tranne uno, hanno lasciato l'aula. È quasi sconvolgente il contrasto tra due immagini. La prima: l'ala conservatrice del parlamento lasciata vuota per timore dei franchi tiratori, rendendo impossibile l'esercizio democratico di voto sul destino dell'autore del tentato golpe militare di 96 ore addietro. La seconda: l'immensa folla, piena anche e soprattutto di giovanissime e giovanissimi, che invade per tutto il giorno il lunghissimo viale di fronte all'Assemblea nazionale.
"Impeachment. Arrestatelo", si continua a urlare, mentre dentro l'aula l'opposizione declama i 107 nomi di chi se n'è andato. Due deputati tornano indietro per votare. Non sono sufficienti, ne mancano cinque. Alle nove e mezza si chiude il voto, per evitare inutili attese alle oltre 150 mila persone al gelo: quorum non raggiunto. Eppure, in tantissimi non se ne vanno. Non c'è solo rabbia, ma anche le candele, simbolo delle proteste contro l'ex presidente Park Geun-hye. E poi i bastoncini luminosi dei concerti K-Pop. Si canta, si balla, si promette che le strade di Seul resteranno piene fino a quando Yoon non se ne andrà. I sindacati preannunciano l'ampliamento della mobilitazione e dello sciopero generale.
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"Non è possibile". Due ragazze si stringono su un telefonino, smettendo per un attimo di saltellare per difendersi dal freddo della sera di Seoul. Sul piccolo schermo, vanno in onda le immagini in diretta dei parlamentari del Partito del Potere Popolare (PPP) che se ne vanno. Dopo aver votato contro l'istituzione di una commissione d'inchiesta speciale contro la first lady Kim Keon-hee, lasciano l'aula proprio l'Assemblea nazionale è chiamata a esprimersi sul destino di Yoon Suk-yeol, il presidente che osato imporre la prima legge marziale dell'era democratica della Corea del Sud. Le sedie del partito di governo sono abbandonate, tranne quella di Ahn Cheol-soo, l'unico a restare. Il palazzo simbolo della democrazia sudcoreana resta mezzo vuoto.
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La memoria dei nonni, il senso per la democrazia dei giovani e il paragone (ribaltato) con Trump
"Non uscire a tarda notte". "Non distinguerti, non urlare per strada e vai a scuola in silenzio". "Devi stare attento a quello che dici, perché i soldati potrebbero trascinarti via". Sono alcuni dei messaggi e sms inviati dai nonni della Corea del Sud ai loro nipoti, durante le drammatiche ore intercorse tra le 22 e 23 del 3 dicembre e le 4.27 del 4 dicembre. Sei ore e quattro minuti in cui il Paese ha improvvisamente rivissuto gli incubi del passato, quelle intercorse tra l'annuncio dell'imposizione della legge marziale da parte di Yoon Suk-yeol e la conferma della sua revoca dopo la richiesta approvata all'unanimità dall'Assemblea nazionale intorno all'una di notte. I messaggi di quelle nonne e quei nonni sono diventati virali sui social sudcoreani, coi netizen che hanno iniziato a condividere gli screenshot delle chat.
C'è chi ha paragonato la mossa di Yoon a quella di Donald Trump, quando il 6 gennaio 2021 ispirò l'assedio al Campidoglio. Le immagini che hanno fatto il giro del mondo sono in realtà l'esatto opposto di quanto accaduto negli Stati Uniti. Sì, in entrambi i casi un presidente sta per cedere il posto (Trump) o sente di non avere potere e difese di fronte alle azioni dell'opposizione (Yoon). Ma, nel tentativo di sovvertire il sistema democratico, il prossimo inquilino della Casa Bianca ha fomentato la folla di seguaci e sostenitori contro le autorità e le forze di sicurezza. Al contrario, il presidente sudcoreano ha cercato di raggiungere lo stesso obiettivo attraverso l'uso dell'esercito. Se a Capitol Hill nel mirino c'erano anche i poliziotti, a Seoul erano i poliziotti ad avere nel mirino oppositori e semplici cittadini.
Eppure, nonostante il decreto sulla legge marziale mettesse fuori legge qualsiasi attività politica o forma di protesta, parlamentari e società civile hanno reagito tempestivamente. È stata la loro disobbedienza, dettata dal desiderio di salvare le istituzioni democratiche, a salvare il Paese dalla legge marziale. Mentre i deputati si barricavano dentro l'Assemblea nazionale per riuscire a votare la richiesta di revoca, all'esterno i cittadini si sono radunati in massa per rendere chiaro che non avevano intenzione di accettare un inquietante ritorno al passato. A guardarli bene, non stavano solo protestando, ma stavano invece proteggendo l'Assemblea nazionale dall'abnorme eccesso di potere ordinato da Yoon. Lo hanno fatto col loro corpo, giovani compresi, in più occasioni sfidando apertamente i militari. Nonostante gli avvertimenti dei nonni, che hanno ispirato non tanto la volontà di tenersi al sicuro come individui, quanto di mettere al sicuro la democrazia conquistata col sangue.
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L’intervista alla leader del sindacato che ha lanciato lo sciopero generale
"Non ci fermeremo finché Yoon non si sarà dimesso o non sarà stato rimosso". Mikyung Ryu è la direttrice internazionale della KCTU (Korean Confederation of Trade Unions), il più grande gruppo sindacale della Corea del Sud. Tra le altre cose mi ha detto:
La condizione dei lavoratori sudcoreani è terribile. Yoon ha lanciato una campagna diffamatoria contro i sindacati e ci ha definito delle organizzazioni criminali. Hanno lanciato indagini contro un migliaio di leader sindacali e semplici iscritti. Sulle politiche sociali ci sono state riforme regressive. Yoon ha stoppato l'aumento dei salari minimi e stigmatizza i giovani disoccupati, come se rubassero i soldi pubblici.
Tra le prime cose che ha fatto Yoon, c'è stata dichiarare l'abolizione del ministero sull'uguaglianza di genere. Nega la discriminazione di genere, nonostante la Corea del Sud sia sempre in cima ai Paesi Ocse come divario retributivo tra uomini e donne. Ci sono tantissimi indici a mostrare che le donne coreane sono discriminate. Non solo l'ambiente lavorativo, ma la società in generale è davvero ostile verso le donne che vogliono avere dei figli. Ma Yoon nega la realtà e cavalca sentimenti anti femministi.
Intervista completa su La Stampa di venerdì 6 dicembre.
Che cosa succede ora e gli scenari
Le intenzioni del PPP hanno iniziato a prendere corpo nella giornata di domenica. In una controversa conferenza stampa, il premier Han Duck-soo e il leader del partito di governo Han Dong-hoon hanno infatti annunciato di averlo messo sotto tutela. "Non prenderà più parte agli affari di stato, politica estera inclusa", ha detto il premier, che ha prospettato un'uscita di scena ordinata per il presidente, senza però specificare le tempistiche delle sue dimissioni. Yoon è di fatto commissariato.
L'opposizione sostiene che si tratti di un secondo tentativo di golpe. L'articolo 71 della Carta prevede che "se l'ufficio della presidenza è vacante o il presidente non è in grado di esercitare le sue funzioni per qualsiasi motivo, il primo ministro agisce per lui o per lei". Ma Yoon non sarebbe incapace di agire, tanto da aver accettato domenica le dimissioni del ministro dell'Interno Lee Sang-min, su cui era stata aperta un'ulteriore procedura di destituzione.
Dietro i calcoli del PPP pare incidere una valutazione in termini elettorali. Non solo perché si dà per scontata una sconfitta di grandi proporzioni in caso di elezioni immediate. Incide anche un altro elemento, meno evidente ma forse decisivo. Lee, il capo dell'opposizione, è stato di recente condannato in primo grado per dichiarazioni false durante la campagna elettorale delle presidenziali del 2022. Una condanna che, se confermata, potrebbe estrometterlo dalle prossime elezioni.
L’opposizione ha invece annunciato una seconda procedura di impeachment, con voto previsto sabato 14 dicembre. La speranza è che questo porti il partito di governo a cambiare idea, anche sotto la pressione dell'opinione pubblica. Se non sarà così, c'è chi propone una richiesta di dissoluzione del partito per tradimento. Insomma, la sensazione è che si vada al muro contro muro.
Nel frattempo, la giustizia inizia a fare il suo corso. Già finito in manette Kim Yong-hyun, il ministro della Difesa che avrebbe suggerito di imporre la legge marziale a Yoon, di cui è grande amico sin dai tempi in cui erano compagni di liceo. Kim avrebbe anche ordinato l'arresto dei leader dell'opposizione. Nei giorni scorsi gli era stato già confiscato il passaporto, dopo che era circolata la voce di un suo piano di fuga in Giappone. Emerge tra l'altro l'ipotesi che fosse allo studio un piano per alimentare una crisi militare con la Corea del Nord per avere la scusa di sospendere la democrazia. Ma il cerchio rischia di chiudersi anche intorno a Yoon. Sul piano giudiziario, gli inquirenti hanno annunciato un'indagine a suo carico con le accuse di insurrezione e abuso di potere, con divieto di espatrio.
Ne ho scritto qui e parlato qui (dal minuto 18.30).
Il caos improvviso rischia di lasciare Washington con un fondamentale alleato distratto. E soprattutto rischia di lasciare Seul esposta a eventuali mosse rivali, dopo che la Corea del Nord ha siglato con la Russia un trattato di mutua difesa che Pyongyang ha comunicato essere entrato in vigore il 4 dicembre. Esattamente nelle ore in cui Seul era ancora sotto choc per quella legge marziale che ha riaperto le ferite del suo passato, aprendo incognite sul suo futuro.
Ne ho scritto qui.
Corea, non solo K-Pop e K-Drama
«Sai, io di notte brucio le serre abbandonate». Il ricco Ben, grande Gatsby in versione sudcoreana, lo confessa improvvisamente al giovane Hae-mi, dopo aver fumato insieme della cannabis. Ricchezza, privilegio, impunità da una parte. Incertezza, paura, inadeguatezza dall’altra. È uno dei momenti più forti di Burning, splendido film del 2018 diretto da Lee Chang-dong. Di notte, invece, Yoon Suk-yeol dichiara leggi marziali d’emergenza che riaprono il baratro di un passato che per la Corea del Sud è costellato di blindati, sangue e dittatura. La realtà, come spesso accade, supera la fantasia.
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